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"Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa


Il titolo altisonante vi spaventa? E il lungo nome dell'autore ancora di più?
Direi che non c'è da preoccuparsi; è uno dei libri più belli che abbia mai letto in assoluto.
E qui di seguito una citazione che tra tante rispecchia ancora il nostro tempo:

 Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi

Ve lo consiglio riportandovi quanto scritto su Wikipedia.

E' un romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958.

L'autore trasse ispirazione da vicende della sua antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del Risorgimento e noto anche per le sue ricerche astronomiche e per l'osservatorio astronomico da lui realizzato. Per il tema trattato è spesso considerato un romanzo storico, benché non ne soddisfi tutti i canoni.
Scritto tra la fine del 1954 e il 1957, fu presentato all'inizio agli editori Arnoldo Mondadori Editore e Einaudi, che ne rifiutarono la pubblicazione (il testo fu letto da Elio Vittorini che successivamente sembra si fosse rammaricato dell'errore), avvenuta poi dopo la morte dell'autore da Feltrinelli con la prefazione di Giorgio Bassani, che aveva ricevuto il manoscritto da Elena Croce. Nel 1959 ricevette il Premio Strega divenendo il primo best-seller italiano con oltre 100.000 copie vendute. Nel 1963 fu ridotto nel film omonimo da Luchino Visconti.
Nel 1967 venne anche tratta un'opera musicale di Angelo Musco, con libretto di Luigi Squarzina.
Il titolo del romanzo ha l'origine nello stemma di famiglia dei Tomasi ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»

Il racconto inizia con la recita del rosario in una stanza della casa gentilizia del Principe Don Fabrizio Salina, dove egli abitava con la moglie Maria Stella e i loro sette figli. Don Fabrizio è un personaggio particolare, molto alto e con la pelle molto pallida, dedito allo studio dell'astronomia e a pensieri su amore e morte. Egli è testimone del lento decadere del ceto dell'aristocrazia di cui è rappresentante. Infatti, con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi e del suo esercito, si afferma una nuova classe, quella dei borghesi, che il principe - come tutti gli aristocratici - disprezza. Il nipote di don Fabrizio, Tancredi, pur combattendo nelle file garibaldine cerca di rassicurare lo zio sul fatto che alla fine le cose andranno a loro vantaggio. Tancredi inoltre aveva sempre mostrato interesse amoroso verso la figlia del principe, Concetta, che ricambiava i suoi sentimenti.

Il principe e la sua famiglia trascorrono un po' di tempo nella loro residenza estiva, a Donnafugata; il nuovo sindaco di questo paese è Don Calogero Sedàra, un uomo di modeste origini e borghese profondamente patriottico. Non appena Tancredi vede la bella figlia del sindaco, Angelica, se ne innamora perdutamente. La ragazza è però una borghese e non ha perciò i modi degli aristocratici, per questo Concetta trova quasi ripugnante il suo comportamento. Angelica però ammalia tutti con la sua bellezza, tanto che Tancredi finirà per sposarla, attratto oltre che dalla sua bellezza anche dal suo denaro.
Arriva il momento di votare in un importante plebiscito il cui esito decreterà se verrà effettuata o meno l'annessione della Sicilia al regno italico. A quanti chiedano al principe un parere su cosa votare, il principe affranto dice di essere favorevole a questa entrata. I voti del plebiscito alla fine vengono comunque truccati dal sindaco Sedara e si arriva perciò all'annessione. Dopo questo un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley, offre a don Fabrizio la carica di senatore del Regno d'Italia, ma il principe rifiuta l'incarico in quanto egli si sente un vero e proprio aristocratico e non si vuole sottomettere alla caduta del suo tempo. Il principe ora conduce una vita desolata fino a quando muore circondato dai suoi cari in una stanza d'albergo a Palermo durante il viaggio di ritorno da Napoli, dove si era recato per visite mediche. L'ultimo capitolo del romanzo, ambientato nel 1910, descrive la situazione delle figlie superstiti del principe, che conducono una vita dedita a una formalistica devozione religiosa e nell'illusione che il nome della famiglia Salina conti ancora come nel passato; ma il passato è però irrimediabilmente perduto.


L'autore





Alcune scene tratte dal film di Luchino Visconti del 1963

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